LA POLITICA AL TEMPO DELLA QUERELA




“La politica al tempo della querela”: così si potrebbe intitolare un pamphlet che racconti, magari in chiave satirica, i rischi che corrono i liberi pensatori, i giornalisti coraggiosi, gli osservatori imparziali della realtà, nell’Italia meloniana, ma anche in tante realtà di questa Europa dimentica di Voltaire e di Tocqueville. Il caso più clamoroso, che io ricordi, si registrò nello scorso aprile a Berlino quando venne impedito, manu militari, un convegno sulla Palestina, Israele e il supporto tedesco allo Stato ebraico, con la partecipazione, in presenza o in collegamento, di illustri personalità internazionali, tra cui Yanis Varoufakis. L’azione poliziesca volta a impedire il convegno, con l’ovvia accusa di “antisemitismo” (che in quella circostanza funzionò in via preventiva, ancora prima che si iniziassero i lavori!), può ricordare l’interruzione violenta del Congresso di Filosofia di Milano della primavera 1926, quando il duce stava aggiungendo gli ultimi tasselli a una dittatura che si avviava verso il totalitarismo. O dieci anni dopo, nell’ottobre 1936, l’incursione minacciosa dei generali golpisti, complici di Francisco Franco, nell’Università di Salamanca, la più antica e prestigiosa della Spagna, dove era in corso la celebrazione del “dia de la raza”, togliendo la parola a Miguel de Unamuno, uno dei più importanti filosofi europei, che si salvò per poco dal linciaggio, dopo aver proferito parole profetiche: “Voi vincerete perché avete la forza, ma non convincerete perché convincere significa persuadere, e per persuadere occorre qualcosa che vi manca: ragione e diritto nella lotta”.

L’Italia d’oggi non è certo su quella strada, e gli anticorpi democratici esistono, le forze di contrasto alla deriva reazionaria sono vive, e tuttavia anche se non si odono tintinnar di sciabole e rumor di speroni, non si possono non cogliere segnali inquietanti di una progressiva involuzione dell’assetto politico-istituzionale e di una pesante e persino grottesca involuzione culturale. Altrettanto gravi quelli, sottotraccia, del silenziamento, dell’ostracismo, dell’esclusione,  e, last but not least, della querela, una specie di parola magica e conturbante, ombra che grava sulla vita intellettuale italiana. Si può conciliare il libero dibattito, l’incontro e scontro delle idee, con la mannaia pronta a scattare sul collo di coloro che si esprimessero in termini sgraditi a “qualcuno” (qualche potente) e servendosi di concetti non “in linea” con il pensiero dominante, o ricorrendo a ricostruzioni fattuali che contraddicano le verità “ufficiali”? Pare di no: l’arma della querela, che prelude alla richiesta di danni “morali” o “di immagine”, immediatamente monetizzata da legulei adusi ad ogni astuzia, è pronta a gettare i malcapitati in pasto a una pubblica opinione avida di applaudire chi cade, e di osannare chi sale.

L’esempio più illustre, nell’Italia della destra al governo, è come si sa, quello di Luciano Canfora, un uomo di cui l’intero Paese dovrebbe farsi vanto, conosciuto e apprezzato possiamo dire universalmente: a lui la “Giorgia” nazionale ha chiesto ventimila euro di risarcimento, per aver Canfora definito la premier “neonazista nell’anima”, definizione acclarata e confermata dall’acritico suo appoggio all’Ucraina di Zelensky, un regime nel quale gruppi dichiaratamente neonazisti sono parte essenziale degli assetti politico-militari. Attendiamo il processo, ora, certi della capacità di Canfora di argomentare la sua accusa, peraltro del tutto plausibile, alla luce della mera filologia, fiduciosi nei giudici di merito.

Canfora non è solo: negli ultimi mesi abbiamo contato numerosi episodi di tal fatta (tra le vittime Tomaso Montanari, Donatella Di Cesare, Eric Gobetti, Davide Conti…) e anche il sottoscritto, modestamente, è finito nell’elenco dei reprobi, da colpire con l’arma della querela. Storici e filosofi, giornalisti e politologi, opinionisti e commentatori, dunque, cominciano a temere, specie in considerazione delle usualmente modeste risorse economiche di cui godono (con la cultura non si mangia, secondo l’indimenticato aforisma di Giulio Tremonti), e dunque che cosa accade? Che diventano “prudenti”, o sono invitati, pressantemente, ad esserlo. Prudenza, ossia autocensura, onde evitare non tanto  la censura, ma, piuttosto, la querela, il cui spettro ormai si aggira per le stanze delle redazioni giornalistiche e editoriali, per le aule scolastiche e universitarie, per gli studi televisivi, e per qualsiasi spazio pubblico nel quale si tenti di dare voce al libero pensiero, che s’incarna essenzialmente nel dissenso, la presa di distanza dal potere, politico, economico o culturale che sia, e la critica ai suoi atti, il rifiuto di pensare (e marciare) a comando. Un esempio quasi divertente si è registrato recentemente in una puntata del programma “Di Martedì”, nel quale un ospite ha interrotto l’altro, preannunciando una querela, al che il primo ha risposto con l’annuncio di una controquerela: tutto solo per due frasi, non di particolare significato, proferite rispettivamente.

Il caso del collega professore ordinario al Politecnico di Torino, Massimo Zucchetti, rientra nel medesimo ambito, anche se con caratteri diversi, come sa chi ha seguito gli avvenimenti, a partire da il suo dichiarato sostegno agli studenti pro-Palestina (al punto da incatenarsi ai cancelli all’ingresso dell’edificio), e delle sue critiche al regime Zelensky da un canto, e a quello di Netanyahu  dall’altro. Le qualifiche scientifiche del professor Zucchetti si sprecano, tanto sono numerose e di prestigio internazionale, come è altrettanto noto il suo impegno contro la guerra, che dura ormai da un quarto di secolo, ed è in qualche modo certificato dalla presidenza del Centro Interateneo Studi per la Pace: è vero che le forme in cui egli si esprime sono sovente rumorose e clamorose, “eccessive” agli occhi e alle orecchie di tanti, ma in realtà quello che non gli si perdona è per l’appunto l’essere sceso pubblicamente in campo, in modo continuativo, denunciando viltà e omertà del potere accademico, prono al military-industrial complex sionista e atlantista. Stupisce, ma forse non più di tanto, che l’istituzione nella quale egli svolge il suo compito di docente (di Storia dell’energia e Protezione dalle radiazioni), più volte segnalato tra i candidati al Nobel per la Fisica, abbia annunciato un Senato accademico per studiare eventuali sanzioni e rimozioni da incarichi del professor Zucchetti, senza neppure concedergli preventivamente un’udienza.

Insomma, se il pensiero critico risulta urticante (nel caso di Zucchetti, lo è particolarmente!), viene ben visto e coccolato il pensiero uniformato ai dettami di chi comanda, il pensiero che implica conformismo, passiva accettazione della realtà: lo si fa per insipienza o per incoscienza, ma anche per viltà; come scrive Manzoni, a proposito di Don Abbondio, “Il coraggio se uno non ce l’ha, mica se lo può dare”.  Nello stesso secolo, dall’altra sponda dell’Atlantico, un pensatore anarchico proto-ambientalista, Henry David Thoreau, sentenziava, provocatoriamente: “In una società ingiusta, l’unico posto giusto per la persona giusta, è il carcere”.  No, non voglio tessere l’elogio del martire e neppure quello dell’eroe, ma voglio denunciare, sul piano etico e intellettuale, prima che su quello politico, la restrizione degli spazi del libero pensiero e della libera parola, attraverso il combinato disposto di manganello e censura: e se a quelle maglie si riesce a sottrarsi, ecco materializzarsi la querela.  Perciò, ecco il mio grido: “Querelati di tutto il mondo, unitevi!”.

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