Borghesia stracciona, borghesia cafona, borghesia cialtrona. Da Santanché a Elkann

In un mio commento sul Fatto, pochi giorni fa, citavo Murray Bookchin, che definisce il capitalismo del nostro tempo come “il più nocivo assetto sociale mai emerso nel corso della storia umana”. Riflettevo alla forma che assume nel Belpaese questo capitalismo, invasivo e distruggitore, ma che rimane un “capitalismo straccione” di cui è protagonista una borghesia che segue la via più “melmosa” (così scriveva Gramsci) per agguantare ogni giorno una fetta in più della torta sociale, una borghesia che aggiunge alla rapacità, l’ignoranza e la volgarità.

Il caso Santanché dice molto, in tal senso, non solo per le illegalità a trecentosessanta gradi commesse in totale souplesse, da una “rappresentante del popolo”, che è addirittura ministra, ma per l’ostentazione prima della ricchezza (lecita o preferibilmente illecita), ma poi della stessa illegalità, a voler sottolineare il proprio status di persona che della legge non si cura, ritenendosene al di sopra. Coerente è la reazione della sua parte politica, che mostra di considerare nella normalità siffatti comportamenti. Nel “fare quadrato” intorno alla Santanchè, oltre alla difesa della scricchiolante compagine governativa c’è l’arroganza di quel turbocapitalismo predatore e rapace, che nella versione italica aggiunge la rozzezza, l’impudenza e in definitiva, la cafonaggine. Borghesia stracciona, borghesia cafona.

Ma c’è anche la versione “elegante” del nostro borghese: ce la rappresenta Alain Elkann, su la Repubblica, e resto quasi incredulo. È il racconto di un suo tragitto in treno circondato da ragazzi rumorosi, vestiti tutti allo stesso modo, Nike ai piedi, calzoni corti, berrettino. Quei “lanzichenecchi” (li chiama proprio così), invece di intessere dialoghi filosofici, pregustano ipotetiche conquiste in discoteca, incuranti del disturbo che arrecano al fine intellettuale, casualmente padre del proprietario del giornale a cui manda questo imperdibile pezzo. Lui ci fa sapere che veste un abito di lino blu, immerso nella lettura di quotidiani in inglese e rigorosamente nell’originale francese, la Recherche di Proust (qui il povero Elkann confonde un volume con un capitolo, ma non importa), e riempie qualche pagina, of course con stilografica (Montblanc?), del suo diario.

Quella italiana non è solo borghesia stracciona e cafona, ma pure cialtrona.    

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